Conservatorio di Musica di Vicenza “Arrigo Pedrollo”
Istituto Superiore di Studi Musicali

Concerti ed eventi

CORO DEL CONSERVATORIO 'A. PEDROLLO' DI VICENZA
Sabato 7 Maggio - ore 20:30
PETITE MESSE SOLENNELLE

PETITE MESSE SOLENNELLE

A 4 PARTI CON ACCOMPAGNAMENTO DI 2 PIANOFORTI E HARMONIUM
CORO DEL CONSERVATORIO 'A. PEDROLLO' DI VICENZA
DIRETTORE Francesco Di Giorgio (allievo della classe di direzione orchestra)

SOPRANO Hanna Kim
CONTRALTO Barone Francesca/ Zhang Jiasong
TENORE Sun Yiming/ Lee Jin Bok
BASSO Zhu Junkun

PRIMO PIANOFORTE Matteo Dal Toso
SECONDO PIANOFORTE Nicola Dal Cero
HARMONIUM Anna Panozzo


In collaborazione con le classi dei proff. Denia Mazzola Gavazzeni, Pier Luigi Comparin,
Maurizio Scarfeo, Laura Martelletto.

Ci è oggi chiaro come mai, all’apice del successo, dopo la scrittura e il trionfo del Guillaume Tell, Gioachino Rossini abbia deciso il suo ritiro dalle scene. Dopo aver vissuto con la pressione di dover scrivere almeno due o tre opere all’anno, l’esaurimento nervoso e la depressione che lo colsero dopo la sua ultima fatica (1829) gli fecero anche realizzare quanto lui fosse diventato un uomo fuori dal suo tempo. Lui, cresciuto con Mozart e Haydn, si identificherà sempre in quella mentalità ancien Régime, in netta controtendenza al Romanticismo rampante. Cimentandosi nel tentativo di assimilare l’estetica del Grand-ópera si rese evidentemente conto di quanto le mode fossero cambiate, e che proprio nonostante il suo ritmo frenetico lui non fosse più in grado di stare al passo coi tempi. Ritenendosi incapace di modificare il suo stile per piacere ai nuovi gusti sceglie il silenzio. Osteggiato per il suo reazionarismo, fu costretto ad abbandonare l’Italia in pieno fermento risorgimentale per trovare pace e serenità a Parigi nel 1855. Qui attrae illustri personalità che gli rendono omaggio, tanto che i suoi samedi soir diverranno un evento mondano di riferimento per l’alta società e la vita culturale parigina. Solo per queste occasioni riprende la penna per comporre piccoli brani per pianoforte, destinati a intrattenere i suoi ospiti con titoli auto-ironici e riferimenti scherzosi, e che andranno a raccogliersi nei Péchés de vieillesse, i suoi “Peccati di vecchiaia”.

Il capolavoro di questo periodo però, è una musica che scrive solo per sé, intima e meditata, considerata suo testamento spirituale: è la Petite Messe Solennelle, terminata nel 1863, e destinata ad essere il suo vero «ultimo peccato di vecchiaia». Già nel titolo si apre a contraddizioni: è una messa piccola ma di ampio respiro, è solenne ma scritta per un ensemble ridotto ed insolito (due pianoforti, un armonium, coro e 4 solisti). Questa messa infatti è proprio petite per l’esiguo organico e solennelle per la sua durata (Rossini musica tutto l’ordinario della Messa, più un Prélude religieux da suonare al pianoforte prima del Sanctus e l’inno eucaristico O salutaris hostia). In quest’opera il vieux rococò dà prova di gran tradizionalismo, aderendo a tendenze conservatrici che guardano indietro ai grandi maestri, ma non riesce ad evitare importanti elementi di innovazione che lo collocano esattamente dentro la sua epoca, in un chiaro e preciso clima culturale.
È simbolico ciò che scrive nell’intitolazione della partitura manoscritta:

« Petite Messe Solennelle a quattro parti, con accompagnamento di 2 pianoforti e di un armonium. Composta per la mia villeggiatura di Passy. Dodici cantori di tre sessi, uomini, donne e castrati, saranno sufficienti per la sua esecuzione. Cioè otto per il coro, quattro per il solo, un totale di dodici cherubini: Dio mi perdoni l’accostamento che segue. Dodici sono anche gli Apostoli nel celebre affresco di Leonardo detto 'La Cena', chi lo crederebbe! Fra i tuoi discepoli ce ne sono alcuni che prendono delle note false!! Signore, rassicurati, prometto che non ci saranno Giuda alla mia Cena e che i miei canteranno giusto e con amore le tue lodi in questa piccola composizione che è, purtroppo, l’ultimo peccato della mia vecchiaia.»

Contempla come “terzo sesso” la categoria dei castrati, virtuosi simbolo di un’epoca passata e ormai segnata al declino. Potrebbe non essere troppo azzardata la comparazione e il senso di affinità tra questi cantanti e il vecchio Rossini: entrambi  stanno diventando figure obsolete e stanno venendo rimpiazzati da nuovi gusti a loro ostili.

La forma, la scrittura e i modelli di riferimento sono presi dal lontano passato: Palestrina riecheggia nel contrappunto canonico del Christe (cantato sottovoce dal coro a cappella); Bach è presente come modello nel Prélude religieux, strutturato come se fosse un Preludio e Fuga tratto dal Clavicembalo ben temperato e traspare nella vivacità delle fughe Cum Sancto Spiritu e Et vitam venturi sæculi Amen. Eppure, nonostante questi tratti conservatori e tradizionalisti, è una Messa piena di innovazione. L’organico così povero risponde a un’esigenza di semplicità (i pianoforti, l’armonium, sono strumenti più facilmente reperibili e allontanano l’esecuzione da una funzione pubblica), destina implicitamente la Messe a un’esecuzione salottiera, cameristica, non più “liturgica”. Timbricamente è una deliberata scelta anti-romantica: la povertà timbrica dei pianoforti, l’uso dell’armonium invece dell’organo, la richiesta di dodici cantori (paragonati ai dodici apostoli) riducono la tentazione al fasto elefantiaco e all’eccessivo intimismo patetico. Scelte che fanno pensare alle avanguardie primo-novecentesche e a concezioni estetiche del cosiddetto “neoclassicismo”, ma anche a una prassi della tradizione francese dell’epoca: quella di scrivere l’accompagnamento della messa per piano o armonium. È evidente che non pensava affatto a pubbliche esecuzioni: è musica scritta per sé, «per la sua villeggiatura di Passy» (paesino poco fuori Parigi, dove si era fatto costruire una villetta per il soggiorno estivo). Pensando solo al suo gusto allora Rossini si spinge anche a sperimentare e a giocare con audacità armoniche e cromatismi, elementi che Wagner in quegli anni stava portando nei teatri con le sue opere.

A conclusione dell’Agnus Dei, scrive:
«Buon Dio, eccola terminata questa povera piccola Messa. È musica benedetta [musique sacrée] quella che ho appena fatto, o è solo della
benedetta musica? [sacrée musique] Ero nato per l’opera buffa, lo sai bene! Poca scienza, un poco di cuore, tutto qua. Sii dunque benedetto e  concedimi il Paradiso.»

È un Rossini che da anni affronta faccia a faccia la morte. Con lucidità e riconquistata leggerezza, benedicendo Dio, si congeda delle sue origini, e, con la sua consueta ironia, si chiede se abbia fatto della musica sacra o della “benedetta” musica, una musica che fa alzare gli occhi al cielo – ma per altri motivi... Non si cura più se abbia forzato o meno la sua natura, se nelle sue opere serie sia venuta meno l’ispirazione artistica, o se ne si avverta la carenza nelle opere religiose. Si accetta puramente per quello che è: «Peu de science, un peu de cœur, tout est là.»

Alessandro Panozzo