Teatro Comunale di Lonigo
Ore 21.00
Biglietti da 9 a 11 Euro (per l'acquisto visita il sito del Teatro Comunale di Lonigo)
CONCERTO/ESAME FINALE DI DIREZIONE D’ORCHESTRA
con l'ORCHESTRA DEL TEATRO OLIMPICO DI VICENZA
Direttori
Luigi Bedin (biennio accademico)
Riccardo Lucadello (triennio accademico)
Solista
Gabriele Dal Santo pianoforte
PROGRAMMA
VINCENZO BELLINI (1801-1835)
Ouverture da “Norma”
Direttore: Luigi Bedin
PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ (1840-1893)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in si bemolle minore op. 23
- Allegro non troppo e molto maestoso
- Andantino semplice
- Allegro con fuoco
Pianista: Gabriele Dal Santo
Direttore: Luigi Bedin
***
LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770-1827)
Sinfonia n. 5 in do minore op. 67
- Allegro con brio
- Andante con moto
- Allegro
- Allegro
Direttore: Riccardo Lucadello
NOTE
CANTABILITÀ E FATO
Introduzione:
Il programma del concerto sinfonico di questa sera appare, ad una prima visione, eterogeneo ma ad una più attenta analisi, non solo delle partiture oggetto d’ascolto ma anche delle vite dei Maestri e il contesto culturale nel quale la loro arte s’è manifestata, un fil rouge capace di porre in relazione le tre opere si rivela con più compiutezza. I termini della questione, posti a titolo del seguente programma di sala, sono la Cantabilità e il Fato. La prima si riferisce alla dimensione orizzontale della musica, la melodia. Traduzione e veicolo musicale dei più differenti affetti ed emozioni, caratterizzata da una naturale capacità di penetrare nell’animo dell’ascoltatore per qui nutrirlo, essa rappresenta lo strumento privilegiato all’interno della poetica belliniana e čaikovskiana; affini per animo sensibile, entrambi i compositori hanno reso immortale la loro arte attraverso melodie infinite e cariche di pathos. E come per Norma, attraverso mano di Bellini, dolcissime melodie scaturiscono a immagine di ogni sentimento che la pervade durante lo sviluppo drammaturgico dell’azione, così la melodia – fra tutte quella amatissima che apre il primo movimento del concerto per pianoforte e orchestra - colora la vita stessa del compositore russo segnata, nonostante i numerosi successi ottenuti, da una profonda depressione e da un ammorbante fatalismo che lo condussero al suicidio. Il rifiuto alla vita quale conseguenza estrema del rifiuto che essa stessa, rispondente al nome di Fato, nutre per lo sventurato è una dinamica che colpisce (“so pocht”) e affronta il giovane Beethoven. Egli, però, a differenza di Norma – per sua medesima volontà vittima sacrificale, e di Čajkovskij – schiacciato dalla nevrosi e psicosi, la fronteggia a viso scoperto, sostenuto da una morale ed un’etica, commiste ad una autocoscienza del Sé in quanto artista; uno scontro titanico, tragico dal quale scaturiranno composizioni di forza inaudita e destinate a travalicare i secoli della storia.
Vincenzo Bellini: Sinfonia da Norma
Rappresentata nel dicembre 1831, inaugurando la stagione di Carnevale e Quaresima 1832, Norma è la sesta opera nata dalla felice collaborazione tra il prolifico librettista Felice Romani (Genova, 1788 – Moneglia, 1865) e il compositore Vincenzo Bellini (Catania, 1801 – Puteaux, 1835) iniziata nel 1827 con la realizzazione de Il Pirata. Seppur freddamente accolta alla sua prima esecuzione, Norma sarà, già dalla seconda recita, applaudita con fervore e diverrà una delle opere più acclamate non solo del compositore catanese ma dell’intero repertorio belcantistico italiano; fama di cui gode tutt’oggi. La sinfonia d’apertura rappresenta un concentrato emotivo delle differenti tematiche presenti nell’opera. Bellini, attraverso gesti musicali vari e giustapposti, dipinge il dolore, i propositi di omicidio e il suicidio, la disperazione, l’accusa e la gelosia, il rimorso e la vendetta in un dinamismo sinfonico dall’architettura classica ma con sfumature coloristiche e timbriche compiutamente romantiche, restituendo allo spettatore un’efficace anticipazione della tragedia che andrà ad ascoltare.
Pëtr Il'ič Čajkovskij: Concerto per pianoforte e orchestra n.1 op.23 in Si bemolle minore
Eseguito in prima assoluta a Boston, presso la Music Hall, il 25 ottobre del 1875 da Hans von Bülow sotto la direzione di Benjamin J.Lang, il Concerto per pianoforte n.1 op.23 fu composto tra la fine del 1874 e gli inizi del 1875 e rappresenta il primo approccio del giovane compositore russo al genere del concerto solistico per pianoforte e orchestra (sarà seguito dal secondo, op.44, raramente eseguito, e dal terzo, op.75, rimasto incompiuto). Dopo una breve introduzione dal carattere eroico, generata da un veemente richiamo dei corni, su ampi accordi affidati al solista, un cantabile, lirico ed ampio tema nella tonalità di Re bemolle maggiore viene presentato dagli archi a cui risponderà il solista variandolo ritmicamente: è il tema che apre il primo movimento, figlio di quella invenzione melodica «abbondante […] a volta a volta felice […] senso infallibile dell’effetto dato dal lirismo destinato a commuovere facilmente le masse popolari e piccolo-borghesi» come ebbe a dire A.Casella. Segue l’Allegro con spirito il cui tema principale è un libero adattamento e variazione della canzone popolare La canzone dei cechi desunta dal repertorio popolare ucraino che il compositore, come descrisse il fratello Modest, ebbe modo di ascoltare durante un giorno di mercato presso la città di Kamenka. Un carezzevole incedere di morbidi pizzicati degli archi sorregge una dolcissima melodia dal carattere cullante, una sorta di ninna-nanna, affidata alla tenue, morbida voce del flauto: è l’inizio del secondo movimento, un lied tripartito dall’indicazione Andantino semplice. Pagina emblematica dell’originalità compositiva čaikovskiana , della sua instabilità nevrotica, del suo decadentismo malato e affascinante, questa Berceuse ha in sé tutti i caratteri che matureranno nel suo stile tardo; si affiancheranno alla depressione e alla visione fatalistica dell’esistenza e animeranno le sue pagine intramontabili quali le ultime tre sinfonie, in particolare la Sesta “Patetica”, suo testamento spirituale e ultimo grande lavoro sinfonico prima della morte avvolta tutt’oggi nel mistero. Brillantezza, vivacità e dinamismo travolgente dipingono il breve ed effettistico terzo movimento, un rondò Allegro con fuoco il cui primo tema è una danza ucraina arricchita da interessanti contrasti ritmici mentre il secondo, aperto e lirico, a tratti nostalgico, verrà utilizzato a conclusione del movimento presentato a tutta orchestra prima che la coda, frenetica ed euforica chiuda il sipario su questo primo Concerto per pianoforte e orchestra.
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n.5 in do minore op.67
In un giorno imprecisato tra aprile e maggio della primavera del 1802, il compositore tedesco Ludwig van Beethoven (Bonn, 1770 – Vienna, 1827) lascia l’appartamento di Vienna, dove viveva in affitto, città presso la quale si era stabilito definitivamente dal 1792, per trasferirsi nel piccolo borgo di campagna a nord della capitale dal nome Heiligenstadt, «città santa», poco distante dalle rive del Danubio e circondato da boschi; luogo ideale ove far riposare l’udito, provato dall’attività musicale, congiunta al rumore di Vienna, che ne avevano causato l’indebolimento, come da diagnosi del medico curante Schmidt. Nei sei mesi qui trascorsi, il compositore affronta uno stato di intenso, vivo sconforto dato dalla sempre più profonda presa di coscienza della prospettiva di un «male perenne», in riferimento all’ipoacusia che già da qualche anno lo tormentava nel fisico e nello spirito. Verso il termine del soggiorno Beethoven redige una lettera conosciuta oggi come Testamento di Heiligenstadt. Esso rappresenta la più profonda, straordinaria confessione e rivelazione dei dèmoni interiori che attanagliavano il compositore; quello sconforto e rassegnazione nella perdita del «senso che rispetto agli altri in me dovrebbe essere sviluppato in un grado perfetto, un senso che un tempo possedevo nella più grande perfezione, una perfezione che certamente pochi nella mia professione posseggono, o hanno mai posseduto» ; misera condizione esistenziale alla quale egli stesso pensò di porre termine con il suicidio. Il primo movimento, Allegro con brio, è un allegro in forma sonata aperto dal celebre Schicksalsmotiv - motto del destino, caratterizzato da tre note brevi e una lunga; «Così picchia il Destino alla porta…» scrive Beethoven all’amico ed allievo Schindler. Interessante è la scelta del verbo da parte del compositore: egli non usa klopfen, bussare, bensì pochen, traducibile con picchiare, battere; un verbo che denuncia una violenza e forza bruta nell’azione. Su questo inciso il compositore costruisce l’intero primo gruppo tematico (e dà coesione all’intera sinfonia presentandolo variato durante il progredire della stessa): con forza propulsiva e lacerata drammaticità, sostenuta dalla frammentazione anche timbrica della costruzione compositiva, esso sfocia in un imponente unisono di titanica compattezza. Un richiamo del corno, strettamente collegato ritmicamente al motto iniziale, cambia l’emotività: una distesa e lirica implorazione, dapprima affidata ai violini, reiterata dal clarinetto e quindi dal flauto, ricorda un gemito, un sussulto, una supplica che non viene accolta: nel principio di lotta tematica, l’Esposizione si chiude con tonanti asserzioni del gesto d’apertura. Questo stesso, con inumana forza, squarcia lo Sviluppo e dà avvio ad un incessante e demoniaco scontro tra forze impari in cui la pressante insistenza del motto conduce alla Ripresa: la novità, drammaturgica e formale, destinata a travalicare i secoli della musica occidentale, è rappresentata dal breve recitativo a solo dell’Oboe rappresentante un grido implorante di pietà al Destino esalato con fievole voce dalla stremata vittima. Una inaspettata luce fioca destinata a spegnersi, travolta dal burrascoso ed eccitato incedere del Destino, la lotta contro il quale, come testimonia l’importante ed imponente Coda che chiude il movimento, giustificata dalle stesse motivazioni che sorreggono lo Sviluppo, porta alla sconfitta dell’uomo.
Graziosità, lirismo, compostezza atteggiata e un profumo da salotto aristocratico colorano il secondo movimento, Andante con moto in La bemolle maggiore. La classica struttura di Lied coesiste con la forma rondò e la libera variazione tematica: il brano è articolato in più sezioni ognuna delle quali presenta il tema principale elaborato a sua apertura. E.T.A.Hoffmann, il critico musicale per eccellenza del primo Romanticismo, nella sua recensione della Quinta, pubblicata sulla «Allgemeine Musikalische Zeitung» nel 1810, parla, a tal proposito di «…una vaga voce spirituale che versa nel nostro petto speranza e conforto. […] ma anche in questo (movimento, n.d.r.) penetra lo spirito terribile che ha posseduto ed intimorito il nostro animo durante l’Allegro e ogni momento ci minaccia dalle nubi tempestose in cui esso è scomparso e dinanzi ai suoi fulmini fuggono rapide le care figure che ci avevano circondato durante l’Andante».
Particolare è l’assenza, nel terzo movimento, dell’indicazione Menuetto o Scherzo; il compositore riporta solo l’indicazione agogica Allegro seppur, dato il carattere e l’architettura formale, trattasi del genere Scherzo. L’inizio misterioso, buio, in pianissimo e affidato alla voce scura dei violoncelli e dei contrabbassi, funge da introduzione allo sfolgorante tema affidato ai corni in cui il motto del destino irrompe in tutta la sua brutalità e fatalità. Modulazioni, ricerche timbriche e grandi contrasti dinamici animano questo affresco fosco e turpe, presagio di tempeste lontane. Ma è quando il ritorno trasognato dello Scherzo, dopo un Trio vitale e fortemente contrappuntistico, si soffoca in un pianissimo inudibile, e il timpano propone lo Schicksalsmotiv, oramai ridotto a puro ritmo, che appare l’intero percorso drammaturgico, la complessiva e complessa architettura della sinfonia. Un lungo pedale, un importante crescendo va strutturandosi; e qui Beethoven realizza qualcosa di sconvolgente, assolutamente sconosciuto e di inaspettata novità: il movimento non si conclude bensì, senza soluzione di continuità, sfocia nel quarto movimento. Nella tonalità di Do maggiore, colorata dalla presenza di ottavino, controfagotto e tre tromboni – le cui voci entrano per la prima volta a sostegno dell’orchestra – prende corpo il primo tema dal carattere imperioso, regale, elegante ed aristocratico; rappresenta la mèta del percorso principiato da quel netto ed intransigente “motto del destino”. Un percorso ascensionale, dunque, per aspera sic iutur ad astra: una redenzione come risultato della coscienza e accoglienza del tragico come principio vitale; vitalismo affrescato nell’esuberante ed euforica Coda, Presto, che perentoriamente afferma la vittoria dell’uomo sul fato.